26 Giugno 2019
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I Robot: “ci ruberà il lavoro?”

Anno 2035, Chicago. I robot positronici ormai sono diventati un articolo domestico come un altro, alla portata di tutti ed in tutte le case, e il mondo aspetta l’arrivo sul mercato dei nuovissimi NS-5, generazione prodotta dalla U.S. Robots, azienda leader nella robotica.

Mentre tutti impazziscono per questi aiutanti meccanici, il detective Del Spooner non si fida troppo dei nuovi e avanzatissimi robot. Spooner viene chiamato sulla scena del suicidio del dottor Alfred Lanning, brillante scienziato nonché fondatore della U.S. Robots, dove per l’appunto lavorava; tra l’altro, il dottor Lanning è l’ideatore delle famose Tre leggi della robotica, nonché dei famosissimi e oramai molto diffusi robot “NeStor classe 5”, da cui il nome in codice “NS-5″…..

Tutti i giorni, nella nostra quotidianità, siamo assistiti e aiutati da tanti piccoli NS-5, è una routine talmente consolidata che ormai non ci facciano più caso. Lo smartphone, l’elettrodomestico, l’automobile, la domotica.

Ma quando gli NS-5 invadono la sfera del lavoro, diventiamo tutti detective Spooner, alla continua ricerca della minaccia, del pericolo.

Ma i robot ci sostituiranno? Avremo davvero nel futuro una realtà Matrix? O sono solo percezioni condizionate dal nostro vissuto, dall’utilizzo costante di ragionamenti euristici, scorciatoie che ci permettono di arrivare alle conclusioni più semplici senza analizzare attentamente le situazioni?

E’ davvero giustificato tutto lo scetticismo e la paura che ruota attorno alla Intelligenza artificiale e ai robot?

Secondo Silvia Candiani amministratore delegato di Microsoft Italia, l’intelligenza artificiale può contribuire a far crescere il PIL dell’Italia del 1% con un impatto significativo in tutte le industrie. Il paradosso sono le decine di migliaia di posti di lavoro vacanti nel digitale perché mancano le competenze. Si calcola che entro il 2020, saranno circa 135mila le posizioni disponibili nel settore ICT, altrettante nella cyber security e data scientist (figure in grado di leggere enormi mole di dati per indirizzare e creare nuovi trend di consumo).

A quanto sembra l’Intelligenza artificiale ci orienta verso lo sviluppo di nuove competenze e verso un cambiamento di pensiero, ci rende consapevoli del fenomeno della obsolescenza delle competenze, della necessità di formazione specializzata e di nuove figure professionali di tipo tecnico.

Uno studio degli economisti Gregory, Salomons e Zierahn, osserva i movimenti del mercato del lavoro in Europa, avvenuti tra il 1999 e il 2010, per capire se fino a oggi l’uomo ha gareggiato fianco a fianco, o contro le macchine. Da allora secondo lo studio 1,64 milioni di posti di lavoro sarebbero stati sostituiti da un macchinario o un algoritmo, ma allo stesso tempo in quegli stessi settori colpiti dalla sostituzione si sono creati altri 1,4 milioni di posti di lavoro per via dell’aumento della produttività, e più di 2 milioni ulteriori in altri settori, sempre grazie alla tecnologia. L’effetto netto quindi, per i ricercatori, è stato un aumento di 1,8 milioni di posti di lavoro in Europa.

Secondo Ermanno Rondi top manager ad di Incas, i robot esistono da moltissimi anni e sono sempre subentrati all’uomo nei lavori faticosi, alienanti e ripetitivi. L’evoluzione della fabbrica è sempre andata in questa direzione, tutte le macchine automatiche hanno sostituito dei momenti di attività che non erano esattamente “gradevoli” per l’uomo.

In fabbrica, lo spazio per l’automazione è sempre maggiore, soprattutto se si pensa non soltanto ai lavori ripetitivi ma anche a quelli più pericolosi. Questo tipo di progressiva integrazione tra uomo e macchina viaggia parallelamente alla crescita culturale dell’azienda. Dopodiché, però, rimane la duttilità dell’uomo, la sua capacità di scelta e la sua cultura. Un esempio banale: usare un robot al picking in un’impresa di logistica significa che il braccio meccanico preleverà un pezzo alla volta. L’uomo invece può prenderne tre in un colpo solo perché ha la sua intelligenza naturale.

Il ruolo dell’uomo si evolve e si va verso la costruzione di un operatore molto più culturalizzato, skilled e in grado di dominare situazioni più complesse. Le mansioni, quindi, si ampliano su temi più gestionali e operativi. E qui inizia la parte più problematica: che tipo di formazione deve avere quella persona e che tipo di accompagnamento evolutivo? Evolvono le tecnologie, ma anche gli operai devono crescere, altrimenti si crea esclusivamente della disoccupazione di basso livello. Il robot non ha la mano dell’uomo, ma il futuro che ci sta venendo incontro lo stiamo subendo e non gestendo. Oltretutto non riusciamo a comunicare in maniera efficace questo cambiamento epocale e riduciamo tutto a un semplice discorso sui posti di lavoro che si perderanno o si guadagneranno. Il problema è che veniamo da un lunghissimo periodo di dialettica per contrapposizione e abbiamo perso la capacità del confronto e della mediazione, diventando, per motivi diversi, tutti tifosi. Serve, quindi una nuova rivoluzione culturale che parta da una corretta informazione, da una adeguata pianificazione e programmazione nelle scuole e università, dalla riconversione di ruoli e competenze obsolete, non più al passo con l’evoluzione tecnologica, da un cambiamento progressivo di pensiero e di pensare il lavoro.
Olga Solmi e Michele Piattella: Psicologi del lavoro

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