30 Luglio 2019
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Essere Resilienti

La capacità di intrattenere relazioni positive e stabili con gli altri è una delle componenti della
resilienza. Molti studi hanno dimostrato che avere relazioni positive, aiuta a far fronte e a
contrastare gli effetti negativi dello stress. Sentirsi sostenuti dagli altri, anche se non sempre
presenti fisicamente, favorisce il benessere sia fisico che psicologico. L’esserci e l’esistere per
l’altro rappresentano un ingrediente essenziale nella vita di ognuno di noi. La capacità di
coltivare contatti amicali rappresenta un grande fattore protettivo. Il dialogo, il confronto, i
consigli, il supporto, l’aiuto pratico, lo scambio di informazioni sono elementi essenziali nei
momenti di difficoltà. Una persona che ha capacità di coltivare rapporti relazionali potrà fare
affidamento sulla sua rete sociale. Lo sviluppo di una buona rete sociale, può fungere
da supporto anche nella ricerca attiva del lavoro. Ogni persona, come in una rete neurale, ha dei nodi,
quindi dei contatti con altre persone sino a sviluppare una ragnatela di contatti tale da aumentare la probabilità di poter entrare in contatto con una persona che ci possa aiutare o indirizzare nella nostra ricerca del lavoro.
La resilienza è per la psiche ciò che per il sistema immunitario è il corpo, e siccome psiche e
corpo lavorano insieme, i due sistemi possono potenziarsi oppure reprimersi a vicenda (Putton
e Fortugno, 2006). Gli studi che collegano un atteggiamento resiliente di fronte alla malattia
con una prognosi favorevole sono diversi.
Nel King’s College Hospital di Londra e nel Royal Mardesen Hospital di Sutton, gruppi di
studi hanno individuato cinque principali stili di reazione alla diagnosi di tumore: spirito
combattivo, fatalismo, disperazione/impotenza, preoccupazione ansiosa, negazione. Il loro
principale interesse era quello di capire, attraverso uno studio longitudinale nel tempo, se il
modo che le persone hanno di affrontare la malattia sia un fattore prognostico non solo
dell’adattamento psicologico, ma anche del decorso della malattia. Lo studio durò quindici
anni (Greer et al., 1990).
Fu il primo studio che affermò che, a parità di condizioni cliniche iniziali, i pazienti che
affrontavano la malattia con senso di fatalismo, disperazione e impotenza avevano nel tempo
un cattivo adattamento, con alti livelli di ansia e di depressione e un decorso peggiore della
malattia rispetto ai pazienti con spirito combattivo e propositivo.

Olga Solmi e Michele Piattella: Psicologi del lavoro

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